Il concetto di Inconscio prima di Freud
L’ inconscio nella storia del pensiero filosofico
La nascita della psicoanalisi e del concetto di Inconscio vanno collocati nel periodo definito: “crisi della ragione”. Si tratta del periodo compreso tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 in cui si verifica una vera e propria rivoluzione culturale che investe i più disparati campi del sapere e sancisce il passaggio dall’ uomo moderno all’ uomo contemporaneo .
Freud si pone in questo contesto come l’erede di quanto si era prospettato nella ricerca e nella riflessione da Kant in avanti, attraverso diverse figure di ricercatori e di pensatori dell’ Ottocento.
G.W. Leibniz (1646 – 1716) è il primo filosofo ad introdurre il concetto di inconscio. Fino a Cartesio e Locke il processo del pensiero era stato identificato con la coscienza di pensare. Leibniz per primo pone l’accento sulle “percezioni insensibili” o “piccole percezioni”, che esulano dal campo della consapevolezza e risultano indipendenti dall’atto cosciente di pensare –come per esempio negli stati di sonno.
Con una considerazione particolarmente acuta – e affine alle successive formulazioni freudiane – Leibniz distingue due tipi di pensiero inconsapevole:
- il pensiero che deriva da percezioni appartenenti alla storia personale ma dimenticate
- il pensiero che deriva da percezioni che non hanno mai raggiunto lo stato di coscienza
Appartiene a “Nuovi Saggi sull’Intelletto Umano” l’intuizione profonda di Leibniz secondo la quale tali percezioni, per quanto inconsapevoli, sono in grado di produrre “reali cambiamenti nell’animo umano”.
“D’altronde vi sono mille segni – scrive ancora Leibniz- i quali mostrano che in un istante vi è in noi una infinità di percezioni, prive però di appercezione e di riflessione, cioè cambiamenti nell’anima stessa, di cui non ci accorgiamo percè le impressioni sono troppo piccoleo troppo unte tra loro, in modo da non avere nulla che le distingue partitamente; ma, unite ad altre, non mancano di produrre il loro effetto e di farsi sentire per lo meno confusamente, nell’insieme” (p. 87).
La nozione di inconscio viene ripresa e rielaborata dall’idealismo tedesco. Nel pensiero di Fichte, inconscia è l’attività infinita dell’Io che, delimitando se stesso, genera il non-Io. La generazione degli oggetti e della sostanza avviene in modo inconscio – ed è questa la ragione per la quale gli oggetti stessi appaiono esterni all’Io.
In Schelling l’inconscio si pone come aspetto fondamentale dell’Assoluto, inteso come identità di Natura e Spirito, di consapevolezza e di inconsapevolezza.
L’Assoluto, cioè la totalità unitaria di tutte le realtà, è riconducibile all’identità di natura e spirito: spirito cosciente e natura inconscia.
Cogliere l’identità dell’assoluto significa per Schelling andare oltre il mero utilizzo del pensiero razionale. E’ piuttosto l’ispirazione artistica, intesa come attività creatrice in grado di porre in connessione un’attività cosciente con una funzione inconscia, la sola in grado di cogliere a pieno il senso dell’Assoluto.
Schopenhauer si spinge oltre.
L’inconscio si delinea nel pensiero di Schopenhauer come è la vera causa del comportamento. Le ragioni coscienti –prodotto tardivo della mente- sono relegate ad un ruolo subordinato: sono razionalizzazioni che mascherano le reali cause dell’agire, le quali non appartengono al piano della coscienza.
Ogni comportamento, anche il più nobile, appare dettato della volontà di soddisfazione di un istinto. L’inconscio, in quanto “impulso misterioso ed oscuro”, si rappresenta in ogni essere come una sorta di “volontà cosmica” irrazionale della quale l’individuo non è altro che uno strumento.
E. von Hartmann è allievo di Schopenhauer. In “Filosofia dell’inconscio” (1869) von Hartmann delinea l’inconscio come essenza della realtà. Come principio universale, ovunque attivo e presente, che si manifesta tanto nella materia quanto nel pensiero, e viene identificato come “la realtà collettiva di cui tutte le attività individuali sono non solo i prodotti, ma gli elementi integranti”.
Muovendo dall’esame delle manifestazioni principali dell’inconscio nella “vita corporale” e nello “spirito umano”, von Hartmann indica la direzione per risalire al nucleo stesso dell’inconscio, al “fuoco centrale cui convergono come fossero raggi” i fenomeni umani e naturali.
La distinzione tra un piano cosciente e uno inconscio nelle motivazioni del comportamento umano verrà riaffermata, prima che da Freud, da Nietzsche, diventando uno dei temi centrali della riflessione novecentesca.
Nietzsche si avvicina al concetto di inconscio in Aurora. Riprenderà e amplierà le proprie dissertazioni in numerose opere successive (“La Gaia scienza”, “Al di là del bene e del male”, “Genealogia della morale”, “Crepuscolo degli idoli”).
Il senso centrale del pensiero Nietzschiano sul tema dell’inconscio si riassume in pochi aforismi:
- gli uomini sono “sconosciuti a se stessi”;
- “vivono tutti insieme in una nebbia di opinioni impersonali e semipersonali”.
- L’intelletto viene prospettato come “cieco strumento”, alla mercé degli istinti inconsci.
- La conoscenza, e il processo razionale che la sottende, sbiadiscono in una serie di “diversi gradi di illusorietà”
L’inconscio freudiano
Freud rappresenta il balzo quantico del pensiero intorno all’inconscio. La speculazione filosofica si traduce con Freud in prassi. E’ dalla pratica clinica che prende forma la peculiare prospettiva freudiana. “Con la scoperta dell’inconscio nasce la psicoanalisi, che è sia una tecnica esplorativa degli stati psichici profondi, sia una pratica terapeutica, sia una teoria della psiche e delle sue strutture, una concezione complessiva dell’uomo, della cultura e della società. Essa ha influito in modo determinante non solo sulla psicologia, ma sull’arte, la letteratura, le scienze umane in generale” (Alberto Barli).
[…] di “volontà cosmica” irrazionale della quale l’individuo non è altro che uno strumento 2. Alla confluenza di questi autori troviamo Eduard von Hartmann (1842-1906), che nella Filosofia […]